lunedì 29 gennaio 2018

Il bosco delle Cesane un mese dopo il grande rogo

Il 2017 rimarrà nella memoria collettiva come l'anno più caldo in assoluto. Abbiamo passato veramente un'estate dura, priva di piogge e con temperature a 40°c. Purtroppo queste condizioni hanno portato in tutto il paese ad una serie innumerevole di incendi a volte devastanti.

Il 7 luglio, nei pressi di Canavaccio di Urbino un rogo, favorito dall'ambiente torrido e dai forti venti si espande sui colli delle Cesane. Occorreranno due giorni per domare le fiamme. I vigili del fuoco compiono un grande lavoro per salvare le abitazioni dal fuoco ma non possono fare un granché per la foresta delle cesane dove andranno bruciati oltre 200 ettari di vegetazione.

La zona dell'incendio è esattamente quella che ho visitato l'inverno precedente con una bella camminata sulla neve: Alle Cesane per una breve escursione sulla neve. Le fiamme si sono propagate probabilmente dall'abitato di Villa Croce, nei pressi di Canavaccio di Urbino, culminando la loro azione distruttiva in cima ai colli delle Cesane infatti, la zona detta Madonna Rossa, lungo la strada provinciale che cavalca queste colline, è stata completamente carbonizzata. 

Circa un mese dopo, colpito da questo infausto evento in uno dei boschi che ho più a cuore, decido di fare una camminata nella zona dell'incendio e constatare di persona i danni subiti dalla foresta.

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Raggiungo Canavaccio, imbocco la strada che conduce alle Cesane e mi fermo davanti a questa carrareccia dove spiccano dei cartelli sentieristici. La stradicciola porta velocemente al villaggio di Villa Croce, da dove sono partite le fiamme dell'incendio ma già da qui si possono intravedere i danni del fuoco sulla vegetazione.

Ben presto mi ritrovo in terre bruciate ma qui, vicino alle abitazioni, dove il lavoro dei vigili è stato più intenso, qualcosa si è salvato.
Arrivato a Villa Croce di primo acchito sembra tutto normale.
Ma non appena ci si scosta dalle case si vedono quasi solo alberi secchi e si sente odore di bruciato.
Proseguo nel sentiero, nonostante sia passato un mese o poco più non avrei creduto che l'odore di bruciato fosse ancora così pregnante.
I colori di un incendio domato... verde, arancio, nero.
Salendo la situazione peggiora, gli unici alberi che si sono salvati dalle fiamme sono stati quelli al riparo dal vento, nei canaloni dei fossi.
Quattro pini anneriti. Oltre alla siccità ed al vento, il fatto che la foresta delle Cesane sia composta abbondantemente da rimboschimenti a conifere ha contribuito e non poco al propagarsi incontrollato delle fiamme.
Dopo tanto sconforto un po di speranza: un orniello semi bruciato torna a germogliare.
Bacche di ginepro alla fiamma.
Arrivato sotto una pineta ad alto fusto noto come le fiamme abbiano livellato il sottobosco in modo perfetto mentre, gli aghi secchi caduti dalle chiome sovrastanti hanno steso una sorta di velo che pietosamente nasconde il nero lasciato dalle fiamme.
Più in alto però la situazione cambia. Qui il fuoco sospinto dal vento ha quasi bruciato tutto.
Nemmeno un ago di pino è rimasto... sembra un luogo morto, sterile.
Ma a pochi passi, come per magia una macchia di vegetazione autoctona si è miracolosamente salvata. Un angolo delle Cesane che erano.
Un punto panoramico che fortunatamente mi consente di vedere ancora boschi verdeggianti.
Arrivato ad un trivio dovrei andare dritto e salire fino alla strada provinciale delle Cesane per vedere i danni più gravi provocati dall'incendio... decido però che ho visto anche abbastanza così prendo la via di sinistra e me ne ritorno verso casa.
Anche qui la situazione non è delle migliori apparentemente le fiamme non hanno lasciato nulla in vita.
Eppure tra tanta desolazione un po' di speranza c'è anche se ancora è grande quanto un filo d'erba.
Tra questi pensieri abbandono la zona dell'incendio e scendo velocemente verso Villa Croce.

sabato 20 gennaio 2018

Escursione sul Monte Pietralata: dal Santuario del Pelingo ai prati sommitali

Molto tempo è trascorso dalla mia ultima pubblicazione sul blog: la piccola Nicole, impegni e beghe di svariato tipo hanno preso il sopravvento su buona parte del 2017. Per fortuna non ho smesso di camminare. Di tanto in tanto infilo gli scarponi, metto lo zaino in spalla e parto alla scoperta degl'angoli più nascosti e suggestivi del mio territorio.
Perciò qualcosa da raccontare fortunatamente c'è l'ho ancora!

Come prima pubblicazione di quest'anno ho scelto un'escursione fatta, sul Monte Pietralata, nella Riserva Naturale della Gola del Furlo, all'inizio della primavera scorsa. Si tratta di una breve camminata allo scopo di sgranchirmi le gambe in vista di itinerari più lunghi durante le bella stagione. 
Il Monte Pietralata si presta in modo egregio a questo tipo di escursioni: infatti non si tratta di una vera e propria montagna ma di un'alta collina che raggiunge gli 889 m s.l.m.. Il Pietralata è stato, nei tempi passati, fortemente antropizzato quindi è attraversato da numerose strade e stradicciole, possiede ampie porzioni di rimboschimento a conifere ma, allo stesso tempo si trovano altrettanti boschi spontanei, praterie, pareti strapiombanti, magnifici punti panoramici e antichissimi insediamenti che ne fanno comunque un luogo ideale per una camminata.

Itinerario
La prima domenica di primavera, nell'immediato dopo pranzo, mi sono diretto ai piedi del Monte Pietralata. Per essere più preciso, ho raggiunto il Santuario Mariano del Pelingo sul versante sud-occidentale della montagna. 
Dalla chiesa, seguendo la segnaletica, sono salito sul crinale che conduce all'antico castello di Pietralata per poi continuare l'ascesa fin sulle praterie sommitali. Una volta raggiunte le ondulate cime della montagna, ho abbandonato il tracciato segnalato per scendere velocemente verso l'antico insediamento di Pietralata dove ho ripreso a percorrere il sentiero fatto all'andata.
Qui di seguito la mappa descrive dettagliatamente l'itinerario.

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Le immagini dell'escursione 

Il punto di partenza di questa breve escursione sul Monte Pietralata: il Santuario del Pelingo, nel comune di Acqualagna (PU). E' una bella domenica dal clima fin troppo mite. La chiesa non è ancora affollata ma a metà pomeriggio sarà colma di fedeli.
Già al Pelingo è presente la segnaletica della Riserva della Gola del Furlo: il sentiero 441, discretamente segnalato, mi condurrà fino alla cima della montagna.
La primissima parte del tracciato si snoda tra le case di campagna ai piedi del Pietralata.
Una svolta a destra, una a sinistra e si raggiunge l'ultima casa dove il padrone sta arando un piccolo fazzoletto di terra con il trattore.
Oltre, inizia la vera salita verso il castello di Pietralata.
E' il periodo in cui fioriscono le anemoni sellate; un tocco di colore in una natura ancora segnata dall'inverno.
Il pietroso crinale che conduce fino al primo cocuzzolo, dove sorge l'antico abitato di Pietralata.
Dietro di me si apre la visuale sull'Appenninino Umbro-Marchigiano, sullo sfondo infatti sono ben riconoscibili il Massiccio del Catria a sinistra, il Monte Petrano al centro e a destra il complesso montuoso del Monte Nerone. Sotto invece si trova la Valle del Candigliano con l'abitato di Acqualagna.
Salendo incappo nella strada che dal Pelingo sale fin sul Monte Pietralata; io invece continuo l'ascesa seguendo la cresta del crinale.
In poco tempo raggiungo ciò che resta del Castello di Pietralata. I pochi edifici ancora agibili, inclusa la chiesa, non sono fruibili eccetto d'estate quando viene aperto un chiosco. Bisogna by-passare il villaggio.
Una volta riuscito ad aggirare Pietralata mi basta consultare la segnaletica.
Proprio fuori dal castello la strada che sale si biforca. Il sentiero 441, secondo i cartelli appena consultati prosegue a sinistra.
Pochi metri dopo, un paletto con i caratteristici colori rosso e bianco mi indica la via di ascesa alle praterie del Monte Pietralata.
Si inizia la salita tra basse conifere.
Per finire, più in alto, in una fitta ed alta foresta di pini.
Quando le pendenze del terreno diminuiscono il tracciato ritrova la strada dalla quale è nuovamente possibile osservare l'appennino.
Prima di raggiungere le praterie sommitali del Monte Pietralata, la vegetazione si fa piuttosto rada e tra questa non è difficile scorgere una piccola croce. Accanto a questa un cartello ricorda che in questo punto, nel medioevo si trovava la chiesa di Santa Croce, caduta in rovine attorno all'anno 1439.
Finisce il bosco di conifere... si apre la prateria.
Sotto di me, a nord, si trova Fermignano, nella Valle del Metauro.
Uno sguardo sull'appennino.
Cammino su e giù tra le tondeggianti colline che caratterizzano le praterie sommitali del Monte Pietralata.
In cima ad uno di questi colli decido di scendere a valle attraversando il bosco sottostante.
Un fuori pista tutto in discesa sotto alti pini.
Per finite dritto a Ca'Tona, un edificio del demanio lasciato, come spesso accade, al suo destino.
Sotto Ca'Tona una stradicciola mi riconduce comodamente al castello di Pietralata.
Difronte a me si apre la piccola valle del Fosso del Bregno.
Raggiungo il castello ma prima di scendere a valle e tornarmene a casa mi soffermo sotto un vecchio mandorlo ad osservare i ruderi.
E' sera quando sto per tonare a valle.
Ma ho tutto il tempo per potermi godere il crepuscolo di questa giornata.